Ragione e sentimento
Nel nord del Salento, su una dorsale di antiche dune fossili, Oria splende come l’oro. È questo il significato del nome di una piccola cittadina del brindisino, un nucleo “dorato” di 17 mila abitanti nel cuore di un territorio attraversato dalla via Appia. Una perla incastonata sulle colline, che nei secoli passò di mano in mano, illuminando ora i Greci, ora i Messapi – dei quali fu capitale politica – i Longobardi, i Bizantini, poi i Normanni e infine gli Svevi. Si deve a Federico II di Svevia la costruzione, all’inizio del 1200, dell’imponente castello che come un vascello adagiato su un’altura – al pari di un uccello sembra essere giunto da un lungo viaggio per aria – domina la pianura salentina. Il puer Apuliae, “fanciullo di Puglia”, Federico lo donò alla città per accogliere gli ospiti in occasione del suo matrimonio con la giovanissima Jolanda di Brienne, regina di Gerusalemme. Nella sua forma triangolare, vista dall’alto, qualcuno ha ravvisato una foglia di vite: simbolo potente ovunque diffuso nella Bibbia, racconta e contiene l’esistenza umana e l’umanissima speranza. Il Castello è visibile quasi ovunque nei dintorni di Oria, anche dalla casa di Eleonora e Mauro, appena fuori delle mura cittadine. Minimale, sobria, elegante e in dialogo armonioso con il tessuto urbano e la natura circostante, anche questa casa è una piccola perla in un territorio ora compreso in una fase di grande trasformazione: verso la riscoperta di sé stesso e il proprio sviluppo, attraverso la valorizzazione del proprio patrimonio culturale e paesaggistico. Anche con interventi architettonici ragionati e funzionali. Si può dire sia il piccolo castello di Eleonora e Mauro, innamorati di Oria come forse fu Federico II. Le loro vite si sono incrociate qui: Mauro si è trasferito con la famiglia dal Belgio, dov’è nato, a Oria a sei anni, tornando nel luogo dal quale i nonni erano emigrati da bambini (che non si conoscevano e che si sarebbero incontrati in Belgio). La casa di Eleonora e Mauro spinge a una riflessione sui bisogni degli individui circa l’abitare. Sembra voler proporre un’esperienza totalizzante di architettura come progetto di vita, strumento utile, imprescindibile, dell’esistenza di chi la abita. E come il castello di Federico, è un’architettura nata per essere funzionale, per avere uno scopo preciso, pratico. “L’obiettivo dell’architettura, oggi”, spiega l’architetto Alessio Carbone dello studio Insite architetture, che ha progettato la casa d’Oria, “non è più di creare opere autoreferenziali, contenitori di un concetto artistico che si impone alla collettività di comprendere e accettare, ma piuttosto di disegnare e costruire intorno alla persona edifici come abiti per abitare”. È una visione completamente diversa dell’architettura, che compara – come nell’opera di Loos, per esempio – l’architetto a un sarto, più che a un artista. O a un cantautore, dice Carbone riprendendo una famosa battuta di De André su poeti e cantanti. Anche l’uso del legno conduce a un’architettura più essenziale, lineare, dai volumi più semplici, ma non per questo di minore bellezza. I proprietari hanno voluto fortissimamente una casa in bioedilizia, stimolati nella scelta anche dai giovani architetti ai quali si sono affidati, che da tempo coltivavano il desiderio di progettare un edificio in legno totalmente efficiente dal punto di vista energetico e di farlo con Rubner, per loro i migliori costruttori in bioedilizia in Italia. Ne è nata una casa che ha l’ambizione di farsi modello, esempio da seguire per dare concretezza a una nuova idea di architettura sul territorio, oggi più che mai lanciato verso la modernità. Una casa che è una piccola storia, scritta a quattro mani con Eleonora e Mauro: racconta un desiderio di apertura e spazio, un bisogno di luce e chiarezza, di rispetto dell’architettura tradizionale del luogo proprio attraverso un intervento consapevole che ne prevede la sua riformulazione. Se d’inverno le ampie superfici vetrate, che diluiscono i confini tra interno ed esterno, consentono di accumulare il calore necessario, l’aggetto di cui sono provviste e la teoria di alberi davanti alla facciata a ovest riducono l’impatto del sole e mitigano il caldo, così che anche d’estate la temperatura degli ambienti sia estremamente piacevole e priva d’umidità. Il vetro della facciata a sud, di nove metri di lunghezza, è arrivato in cantiere in un unico blocco e il suo montaggio è avvenuto con una facilità impensabile in una casa in muratura. Apre lo sguardo sulla lunga piscina, nella quale la casa si specchia all’imbrunire. La volontà di armonia con il contesto emerge anche nei colori e nei materiali scelti per gli esterni, che sono quelli della tradizione architettonica della regione, come la pietra di Trani, micro-bocciardata per renderla porosa, bianca e antiscivolo. Per le facciate, è stato scelto un rivestimento in legno e non in altro materiale “ottuso”, come potrebbe essere il gres, allo scopo di costruire una relazione empatica con chi abita la casa. Anche la scelta delle piante per il giardino rientra in un progetto di conservazione del territorio o, meglio, di riappropriazione della pluricoltura che caratterizzava questa regione: non solo ulivi, quindi, ma mirti, allori, carrubi, nell’intento di creare un microclima odoroso, che cresce e matura.
Sì, è il piccolo castello di due innamorati, ma non ha muri di pietra che nascondano o chiudano lo sguardo: piuttosto aperture che conducono altrove, a osservare d’intorno, a farsi rispettoso spettatore della bellezza di queste terre.